Questa edizione della Naturalis Historia di Plinio faceva parte del la collezione di uno dei più noti bibliofili della corte di Gian Galeazzo Visconti, Pasquino Capelli. La sua storia è tristemente nota. Amante dei classici e grande collezionista di codici che ricercava nei suoi viaggi, soprattutto in Francia, cancelliere del duca, inviato spesso per suo conto in ambascerie, il Capelli perde il favore di Gian Galeazzo per motivi che ancora oggi ci sfuggono e finisce i suoi giorni in prigione dove muore giustiziato nel 1399. Il duca si appropria anche della sua ricca collezione di codici che fa il suo ingresso nella biblioteca viscontea di Pavia al pari di tre non meno prestigiose raccolte come quella di Francesco I il Vecchio da Carrara o dello stesso Petrarca.
Il codice, riccamente illustrato nelle iniziali all'incipit dei libri, presenta nella lettera che introduce il libro XXXV sulla pittura (f. 332r) un autoritratto del miniatore che orgogliosamente si firma nella lettera iniziale: Frater Petrus de Papia me fecit 1389. Il maestro sorride compiaciuto al suo scrittoio, mentre sta miniando una lettera iniziale. Frate agostiniano presso il convento di San Pietro in Ciel d'Oro, Pietro da Pavia è attivo protagonista dello scriptorium che ha sede nel convento pavese.
Il codice di Plinio non è l'unico manoscritto miniato da Pietro da Pavia per il Capelli, che amava lo stile francesizzante del maestro agostiniano. Il gusto francese negli ornati si diffonde rapidamente tra gli artisti lombardi, complice la circolazione di manoscritti d'oltralpe e i rapporti sempre più stretti tra la corte ducale e la corona di Francia. Pietro da Pavia illustra il Plinio con una serie di iniziali, raffinatissime negli ornati e nei colori e nell'uso della foglia d'oro. Nei fogli del codice ambrosiano scopriamo infine nei margini anche grottesche e droleries, animali fantastici o esseri mostruosi, nati dalla fantasia dal miniatore e capaci di distrarre, divertendo, anche il lettore più attento.