Il codicetto cartaceo giunse in Biblioteca nell’autunno 1609 con la stupefacente collezione di manoscritti appartenuta a Gian Vincenzo Pinelli (1535-1601) e acquistata dal cardinale Federico dopo lunga trattativa; era un libro di scuola, con la parte destra dei fogli occupata da commenti e spiegazioni all’Iliade di carattere narrativo ed eziologico, la sinistra dalle miniature, disposte tutte in modo che guardassero a sinistra.
Nel primo decennio dell’Ottocento i frammenti di pergamena vennero distaccati dalle loro carte di supporto, venendo così restituiti a libertà e all’industria degli studiosi. Essi furono ritagliati da un codice dell’Iliade meraviglioso quanto mai e singolarissimo, tanto da mancare quasi confronti stringenti con altre reliquie del mondo antico, che aiutino a dare un’età al libro e indovinare dove potrebbe essere stato prodotto. L’indagine paleografica di Guglielmo Cavallo ha condotto ai tempi dell’imperatore bizantino Anastasio I (491-518), e più precisamente agli inizi del VI secolo, quando in un tipo di scrittura calligrafica utilizzata eminentemente per la trasmissione di testi cristiani, la maiuscola biblica, si ritrovano i giochi chiaroscurali e gli elementi esornativi delle lettere propri del copista dell’Ilias picta; il quale però li applica a una stilizzazione in disuso ormai da tre secoli e che era stata la bella scrittura della letteratura profana, la maiuscola rotonda: il ritorno critico a una tra dizione gloriosa e degna dell’autore per eccellenza del mondo pagano, che fosse splendidamente e sprezzantemente mostrato di fronte alla cultura cristiana ormai trionfatrice. Per l’inizio del VI secolo ha concluso anche Ranuccio Bianchi Bandinelli studiando le miniature dell’Ilias, che si rivelano né originali né copia meccanica di un solo modello, bensì composizioni di elementi e tradizioni diverse delle arti figurative e dell’artigianato databili dal II al V secolo d.C.; da qui la difformità fra le miniature, che sarebbero tutte da ricondurre alla mano di un solo buon artigiano.
Quanto al luogo in cui l’Ilias picta fu prodotta, il confronto con la scrittura somigliante e coeva di due frammenti pergamenacei, l’uno ritrovato in Egitto (Ant. II 78: Platone, Teeteto; sec. V ex.-VI in.), l’altro (Duke inv. G. 5: Platone, Parmenide, sec. V ex.) lì riutilizzato forse nei sec. VII-VIII per scrivere un testo copto, porterebbe a propendere per Alessandria. Di necessità un tal lavoro fu condotto in un centro metropolitano, dove si trovassero committenza e destinatari colti e con potenti mezzi, biblioteche e un patrimonio artistico che fornissero modelli per scrittura, testo e miniature, almeno un copista e un miniatore all’altezza.
Fu poi nella grecità calabro-sicula di pieno XII secolo che fu approntato il manualetto omerico e vi furono incollate le miniature superstiti ritagliandole dai fogli originari.